La relatività della forma


Era una notte buia e tempestosa!

Si non è un modo originale di iniziare un racconto, ma cosa ci posso fare se il sole calato oltre le aguzze vette ad occidente, fa spazio al buio e le nuvole basse scaricano pioggia copiosa e fitta, a tal punto che la visibilità è ridotta a pochi metri nelle stradine strette, trasformate in rivoli fangosi, del piccolo villaggio alle pendici orientali dei Carpazi.

Un'alta e snella figura, dall'aspetto tenebroso, infagottata in una pesante cappa, si aggira furtiva per i vicoli, in mezzo alle case sprangate, dai comignoli fumanti, che spandono un odore di cenere e di poveri cibi che ribollono nei paioli sopra i fuochi dei camini.

Veloce e furtiva, la figura oscura continua ad avanzare rasentando le pareti delle case, attenta a tenersi lontana dalle finestre e dalle luci tremolanti dei fuochi e delle candele che filtrano da esse.

Si sofferma agli incroci, scruta le stradine che si perdono nel buio, rimane ad ascoltare il rumore dell'acqua che continua a scendere incessante, che gli scorre lungo il pesante cappuccio e la cappa che racchiudono nel buio le fattezze di quell'essere diabolico.

Un suono lontano, uno rumori di passi, uno sciacquettio ritmico, nell'acqua che scorre lungo la strada principale del paesino.

Un figura snella vestita di poveri stracci, che avanza a fatica, dopo una giornata di lavoro nei campi, portando su una spalla una fascina di legna bagnata. I lunghi capelli neri e bagnati, unica protezione contro la pioggia, coprono sgocciolanti un visino dolce, un nasino leggero, due occhi che cercano di scrutare nel buio nebbioso dell'acqua incessante.

Occhi tristi che raccontano di pensieri per una madre malata, del fuoco spento, del cibo che manca, che la incitano a fare presto, a raggiungere la piccola baracca in fondo alla strada, dove cercare di accendere la fascina bagnata e di mettere a bollire i pochi tuberi che è riuscita a trovare, nella fatica della giornata trascorsa.

Non sa, la povera fanciulla indifesa, che avanza frettolosa verso un destino maligno che l'attende a pochi passi, schiacciato contro l'ombra della parete di una casa, di un vicolo che si perde nel buio verso occidente, verso le montagne aguzze, a tratti illuminate dalle saette che si infrangono tra le guglie appuntite, riempiendo l'aria di crepitii assordanti.

E' a pochi passi, quando una saetta cade tra le case, illuminando per un attimo la tetra figura, due zanne che scintillano appuntite, due occhi di brace fissi sulla fanciulla che, accorgendosene, s'immobilizza.

Ma è tardi, non c'è modo di fuggire dalla forma che con un lungo balzo, quasi volando leggera, si posa nel mezzo della strada a qualche metro da lei.

"Mio signore, vi prego, lasciatemi passare, ho una madre malata che senza il mio aiuto non supererà la notte" Una vocina flebile esce dalle labbra della spaventata ragazza.

Dal buio, che il cappuccio della nera figura racchiude, esce imponente una voce baritonale, che come un onda impetuosa fa vibrare l'aria, fa battere il cuore.

"Vieni a me, avvicinati, mio spaventato bocciolo. Voglio fare di te la mia immortale regina."

"Mio signore, non sono degna di tanto onore, ho una madre che mi attende! Non posso..."

La voce potente la interrompe, con la sua suadente forza continua incessante.

"Non ti curare dei poveri mortali, non ti curar dei loro malanni, con me sarai regina, sarai dea, sarai mia! Vieni a me! Vieni, avanza!"

Suggestionata, soggiogata, come non avendo il controllo del proprio corpo, la povera figura coperta di stracci bagnati, fa un passo, poi due.

È oramai alla portata dell'infernale creatura, delle sue fauci che scintillano alla luce dei lampi che si intensificano, abbattendosi intorno al villaggio.

Già la testa della povera ragazza si piega di lato, già la nera figura la sovrasta, già il gusto del sangue sembra pervadere, la scena.

Un rapido movimento, la fascina cade a terra mentre una mano sfila un acuminato paletto di frassino. Un piroetta per prendere forza per slanciare la mano armata verso il petto del vampiro, che scoperta la testa, dal pesante cappuccio, mostra il viso rugoso,le fauci dai denti aguzzi che già assaporano la giugulare della fanciulla. Fauci che, invece del trionfo, si atteggiano a smorfia, quando il paletto appuntito penetra nel petto , tra le costole, raggiungendo il cuore, spaccandolo.

Il bruto alzando la testa alla luna invisibile oltre la coltre di nuvole, gli lancia il suo ultimo urlo mentre le gambe già perdono forza, mentre la vita non vita sfugge attraverso le venature del paletto di legno.

Crolla a terra continuando ad urlare, la sua disperazione per un'eternità beffata, mentre anche la voce gli manca.

Con l'ultimo sguardo che si vela di nulla, guarda la figura della ragazza che gli si fa sopra, con una smorfia sarcastica sul viso.

"Che ingenui questi vampiri, credono ancora alle fanciulle indifese che se ne vanno in giro tutte sole al buio!"

Poi afferra la figura riversa per una gamba e faticosamente inizia a trascinarlo verso la lontana baracca

"La mamma sarà contenta di me, la caccia è stata fruttuosa! Stasera gustoso stufato caldo di vampiro!"

palfen 01/03/2012